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| | Stasera una scappata in Emilia Romagna
DOZZA
Il nome La più antica notizia documentata del nome Dozza data al 1126: castrum Dutie deriverebbe dal vocabolo latino altomedioevale doccia, ad indicare la presenza nel luogo di un condotto per far confluire l' acqua in una vasca o cisterna a beneficio della popolazione.
Qui l'acqua un tempo era scarsa e l'enfasi sulla sua presenza è rilevata anche nei toponimi della Chiesa di S. Maria Assunta in Piscina e dell'antichissima pieve di S.Lorenzo in Piscirano.
La Storia 1087, il vicus, abitato in precedenza da popolazioni galliche, poi longobarde e bizantine, e concesso da Carlo Magno alla Chiesa imolese, viene conquistato, cinto da mura e fortificato dai Bolognesi; acquista allora il nome di castrum Ducie.
1412, dopo aspre contese tre le fazioni ghibelline e guelfe, a causa della strategica posizione di controllo sull’antica strada consolare romana, la Via Emilia, Dozza diviene feudo della famiglia Alidosi, e poi dei Riario.
1494, la Rocca è sotto il dominio della “signora delle Romagne”, Caterina Sforza, che la potenzia come strumento militare e la tiene fino al 1499, quando tutti i castelli sotto il dominio di Caterina sono espugnati dalle milizie di Cesare Borgia.
1528, il papa Clemente VII concede il feudo alla nobile famiglia Malvezzi di Bologna. Nel 1564 Dozza è infeudata ai Campeggi (che ottengono il titolo di marchesi da Pio IV) fino all’estinzione dell’ultimo erede maschio nel 1728.
1730, i Malvezzi, grazie a strategici matrimoni, riottengono il Castello con il nome di Malvezzi-Campeggi.
1798, nonostante la dissoluzione dei feudi conseguente all’avvento di Napoleone in Italia la famiglia Malvezzi-Campeggi riesce a mantenere la proprietà della Rocca, rivendicata come residenza privata e come tale abitata fino al 1960, quando il Comune la acquista dagli eredi.
1830, salvo una breve parentesi insurrezionale, Dozza ritorna a far parte del territorio della Chiesa.
1871, con la proclamazione del Regno d’Italia Dozza si costituisce Comune autonomo.
Il gusto dell’arte nella calda atmosfera dei muri dipinti
Dal grifo che si abbevera, raffigurato nello stemma, al nettare dorato dell’Albana coltivata in un paesaggio che sembra quasi toscano: non c’è miglior paradosso per questo borgo adagiato sulle prime colline che dominano la via Emilia, fra Bologna e Imola, e che si apre discreto al visitatore che ne percorre le stradine selciate fino alla Rocca - potente, massiccia, eppure ben armonizzata con il resto dell’abitato, la cui planimetria è a carena di nave.
E in effetti tutto spinge, converge, fluidifica (acqua, vino, persone, cantine e portici che profumano di vino, esalazioni culinarie) verso l’emergenza architettonica che lo sovrasta dall’alto.
La Rocca, punto di convergenza delle due strade che attraversano longitudinalmente il paese, è a pianta esagonale con due torrioni e un perimetro di 530 m.
L’aspetto attuale è il frutto delle trasformazioni in palazzo signorile, completate dai Malvezzi nel 1594.
Varcato il ponte levatoio, ricostruito sul modello dell’antico, l’edificio si apre con un cortile centrale sormontato da due logge di gusto rinascimentale.
Il cortile ospita concerti, spettacoli, degustazioni.
Al piano terra vi è la cucina, con fuochi, camini, pozzo e utensili d’epoca.
Il cuore della residenza è al piano nobile, con la sala di rappresentanza arredata con mobili e dipinti del ‘700 e aperta sul grande terrazzo.
Arredi di gusto rinascimentale e barocco, soffitti a cassettoni, una grande tela che ritrae la famiglia Campeggi sul finire del ‘600, danno valore alla stanza attigua.
Da vedere inoltre la Camera di Pio VII, la sala delle armi, il pozzo a rasoio, le prigioni e le celle di segregazione, l’alcova e i camminamenti di guardia che offrono un magnifico panorama sulle valli sottostanti coltivate a vigneti.
Nel centro storico, al quale danno colore e atmosfera i muri dipinti da importanti maestri, sono da visitare la Chiesa prepositurale di S. Maria Assunta in Piscina, edificata nel XII sec. sui resti di una precedente chiesa romanica (contiene una tavola del 1492 di Marco Palmezzano), il Rivellino, dentro il quale è ricavata la porta settecentesca di accesso al borgo, e la Rocchetta di origini trecentesche.
Nei dintorni, la pieve di S. Lorenzo, il duecentesco convento di Monte del Re, oggi trasformato in albergo, e il seicentesco Santuario del Calanco.
Il prodotto del borgo È l’Albana il primo bianco ad aver ottenuto in Italia il marchio Docg (Denominazione di origine controllata e garantita).
Questo vino affonda le radici in un passato remoto e conobbe il suo periodo di gloria ai tempi della Serenissima Repubblica di Venezia, quando era apprezzato dai dogi.
Il piatto del borgo Ottimi i salumi. Tra i primi, rigorosamente con la sfoglia tirata a mano, si va dalle tagliatelle ai garganelli (maccheroni al pettine, arrotolati su un apposito telaio) e ai tortelli di ricotta al profumo di salvia. Il ragù è di carne, a base di prosciutto o di magro.
Fra i secondi dominano le carni ai ferri, come fiorentina e castrato; poi i formaggi, molli come il freschissimo squacquerone o stagionati come il pecorino di fossa.
Infine la piadina romagnola, regina della tavola al posto del pane. In fatto di vini la scelta è ricca, sia fra i bianchi (Albana, Trebbiano) sia fra i rossi (Sangiovese).
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