Lorenzo Milani
27 MAGGIO 1923 - 26 GIUGNO 1967
Don Lorenzo Milani « Il giorno che avremo sfondato insieme la cancellata di qualche parco, installato la casa dei poveri nella reggia del ricco, ricordati Pipetta, quel giorno ti tradirò, quel giorno finalmente potrò cantare l'unico grido di vittoria degno di un sacerdote di Cristo, beati i poveri perché il regno dei cieli è loro. Quel giorno io non resterò con te, io tornerò nella tua casuccia piovosa e puzzolente a pregare per te davanti al mio signore crocifisso. »
("Lettera a Pipetta", scritta a un giovane comunista)
Don Lorenzo Milani Comparetti (Firenze, 27 maggio 1923-Firenze, 26 giugno 1967) è stato un religioso ed educatore italiano.
Figura controversa della chiesa cattolica negli anni '60 e '70 (i suoi scritti non ricevettero l'imprimatur) oggi è rivalutato per il suo impegno civile nell'educazione dei poveri.
Lorenzo Milani Comparetti era figlio di un'agiata famiglia di intellettuali fiorentini, secondogenito di Albano Milani e Alice Weiss. Pronipote del filologo Domenico Comparetti e di sua moglie Elena Raffalovich sostenitrice e creatrice di giardini d'infanzia froebeliani.
Ragazzo vivace e intelligente, anche se negli anni dell'adolescenza poco propenso allo studio (rischiò anche di essere bocciato), tra il 1941 e il 1943 coltivò la passione per la pittura, studiando prima come privato, poi a Milano all'Accademia di Brera. Nell'estate del 1942, durante una vacanza a Gigliola (Montespertoli) Lorenzo decise di affrescare una cappella; durante i lavori rinvenne un vecchio messale la cui lettura lo appassionò notevolmente. Successivamente, al ritorno a Milano, si interessò di liturgia.
Questo probabilmente fu il suo primo vero contatto con il cristianesimo, dato che la sua famiglia non era mai stata religiosa, quando non espressamente anticlericale (come il nonno e il bisnonno). I Milani avevano battezzato i loro figli solo per paura di ripercussioni in epoca fascista, dato che la madre Alice era ebrea, anche se non credente: Lorenzo lo chiamò sempre il suo "battesimo fascista".
Nel giugno del 1943 Lorenzo si convertì; l'inizio di questa svolta fu il colloquio, avvenuto in modo casuale, con don Raffaele Bensi, che in seguito fu il suo direttore spirituale. Le circostanze della sua conversione sono sempre rimaste piuttosto confuse ed oscure. Di natura è questo un avvenimento totalmente intimo e spesso inspiegabile: nel suo caso non vi è stato nessun evento che potesse scuotere tanto il giovane Lorenzo, anche se questi era probabilmente in uno stato di ricerca spirituale da vario tempo. Il 12 giugno dello stesso anno fu cresimato dal cardinale Elia Dalla Costa.
Il 9 novembre 1943 entrò nel seminario di Cestello in Oltrarno. Il periodo del seminario fu per lui piuttosto duro, iniziando da subito a scontrarsi con la mentalità della Chiesa e della curia: non riusciva a comprendere le ragioni di certe regole, prudenze, manierismi che ai suoi occhi erano lontanissimi dall'immediatezza e sincerità del Vangelo.
Ordinato sacerdote nel duomo di Firenze il 13 luglio 1947 dal cardinale Elia Dalla Costa venne inviato come coadiutore a San Donato di Calenzano, vicino a Firenze, dove lavorò per una scuola popolare di operai e strinse amicizia con altri sacerdoti come Danilo Cubattoli, Bruno Borghi e Renzo Rossi.
Gli fu amico e collaboratore il calenzanese Agostino Ammannati, che insegnava lettere nel liceo classico Cicognini a Prato.
Negli anni a Calenzano scrisse Esperienze Pastorali, che ebbe una forte eco per i suoi contenuti eterodossi: Giovanni XXIII, venutone a conoscenza, non esitò a definire l'autore addirittura come un pazzo scappato da un manicomio.[2] A dicembre 1954, a causa di screzi con la curia di Firenze venne mandato a Barbiana (Vicchio, Firenze), minuscolo e sperduto paesino di montagna, dove iniziò il primo tentativo di scuola a tempo pieno, espressamente rivolto alle classi popolari, dove sperimentò il metodo della scrittura collettiva. Opera fondamentale della scuola di Barbiana è "Lettera ad una professoressa" (maggio 1966), in cui i ragazzi della scuola (con la regia di Don Milani) denunciavano il metodo didattico che, a loro dire, favoriva solo i borghesi ed i ricchi (i cosiddetti "Pierini").
Per i suoi scritti (ad esempio, L'obbedienza non è più una virtù), e per affermazioni come "Io reclamo il diritto di dire che anche i poveri possono e debbono combattere i ricchi" venne (in modo superficiale) incluso nel novero dei cosiddetti cattocomunisti.
In seguito ad un suo scritto in difesa dell'obiezione di coscienza (pubblicato dal settimanale "Rinascita" il 6 marzo 1965), dove ancora una volta si distaccava dall'insegnamento e dalla tradizione cattolica, venne processato per apologia di reato ed assolto in primo grado, ma morì prima che fosse emessa la sentenza di appello.[3]
Le sue spoglie sono oggi ospitate in un piccolo cimitero poco lontano dalla sua scuola di Barbiana. Aveva comprato la tomba il secondo giorno dopo il suo arrivo.
Fu Don Milani ad adottare il motto "I care", letteralmente "Io mi prendo cura" (in dichiarata contrapposizione al "Me ne frego" fascista), motto che sarà in seguito fatto proprio da numerose organizzazioni religiose e politiche. Questa frase scritta su un cartello all'ingresso riassumeva le finalità educative di una scuola orientata alla presa di coscienza civile e sociale. Molti dei ragazzi della scuola di Barbiana sono oggi impegnati nei sindacati o nella politica. Francesco Gesualdi, autore delle principali guide italiane al consumo critico e fondatore del Centro Nuovo Modello di Sviluppo è uno di questi.
Tra gli scritti più famosi, figli dell'esperienza di Barbiana: L'obbedienza non è più una virtù, Esperienze Pastorali, Lettera a una professoressa. La maggior parte di questi testi sono stati scritti cooperativamente da tutti i ragazzi che hanno frequentato la scuola.
Poche sono state le rivisitazioni critiche degli scritti milaniani, se si esclude le Lettere alla madre e gli scritti relativi al processo che il priore subì per aver difeso gli obiettori di coscienza. Questi ultimi scritti sono stati raccolti in L’obbedienza non è più una virtù e gli altri scritti pubblici a cura di Carlo Galeotti.
Le carte originali di Don Milani sono custodite presso la Fondazione Giovanni XXIII (già Istituto per le Scienze Religiose) di Bologna.
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.