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Poesie detti racconti

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view post Posted on 2/1/2018, 18:17
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Non so come si fa ad iniziare nuove discussioni, ma comincio postandovi una bella poesia napoletana.
Un inno all'amore

A cchiù bella (Totò)

Tu si ‘a cchiù bella cosa
ca tene stu paese,
tu si comm’ a na rosa,
rosa… rosa maggese.
Sti ccarne profumate
me metteno int’ ‘o core
comme fosse l’essenza,
l’essenza ‘e chist’ammore.
 
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view post Posted on 3/1/2018, 23:07
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Cara Elina abbiamo aperto questa nuova sezione ma spostando i messaggi da te postati non sono riuscita a riportare il tuo secondo messaggio che inserisco qui sotto:

Oggi invece della poesia un fatterello in dialetto napoletano...

Il Crocifisso che parlava

Era ll’anno mille e treciento quanne n’ommo chino ‘e devuzione, ca se chiammava Tummaso, mprestaje na cosa ‘e sorde a nu cumpare d”e suoje senza vulé nu cuntratto scritto comme garanzia, ma surtanto ‘o ggiuramento fatto annanze ô santissimo crucifisso d”a cchiesa ‘e Sant’Agnello, uno d”e cinquantaduje sante prutettore ‘e Napule, ca cê turnave arrete ‘o juorno c’avevane decise nzieme.

Visto ca era passato ‘o tiempo e ‘o cumpare s’annegaje, propio annanze a chella stessa fiùra ‘e Giesù Cristo, c’avette prestate ‘e denare, ‘o crucifisso dicette chesti pparole: “Miserabbile, tuorna arrete chello ca hê turnà”. Isso, ‘o cumpare, se pigghiaje accussì collera ca menaje na preta nfaccia â croce e ‘o cugliette ncoppo ‘a parte diritta, la quale comme si fosse ‘e carna viva se facette subbeto viola, e se vede ancora.

‘O cumpare rummanette accussì tisico tisico, nun ce steva manéra pô fà movere, ma po visto ca se pentette e ca chillu buon’ommo ‘e Tummaso priava pe isso, fuje sanato d”a malatia e facette penitenzia finché era vivo. ‘Stu fatto conta pirciò quatto cose maravigliose: ‘o crucifisso ca ha parlato, ‘a mulignana ncoppo ‘a faccia sacra, ‘o cumpare primma tisico e po sanato. Sit nomen domini benedictum.

fonte: Storia di Napoli
 
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view post Posted on 9/1/2018, 16:15
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Il caffè sospeso
C'era un tempo, ai primi del 900' in cui a Napoli, tra i bar della città e la sua gente, si usava chiedere un "caffè sospeso".
Era un’abitudine consolidata soprattutto tra la gente del popolo. Chi andava al bar (per lo più l'aristocrazia e l'alta borghesia..ma anche chi,pur non essendo ricco,magari aveva avuto un periodo fortunato e disponeva di qualche soldo in più) per un caffè, ne pagava due e alla cassa diceva: "Uno sospeso!".
Il ”sospeso” era per chi non aveva soldi. Così, prima di sera, qualcuno, meno fortunato nella vita, passava e chiedeva: "C’è un sospeso per me?" avvicinandosi al bancone.


Una "pillola" di saggezza del grande Luciano De Crescenzo

Tratto da “Il caffè sospeso” :
- C'era una volta un contadino cinese al quale era scappato un cavallo. Tutti i vicini cercarono di consolarlo, ma il vecchio cinese, calmissimo, rispose: “E chi vi dice che sia una disgrazia?”. Accadde infatti che, il giorno dopo, proprio il cavallo che era sfuggito ritornasse spontaneamente alla fattoria, portandosi dietro altri cinque cavalli selvaggi. I vicini, allora, si precipitarono dal vecchio cinese per congratularsi con lui, ma questi li fermò dicendo: “E chi vi dice che sia una fortuna'”. Alcuni giorni dopo, il figlio del contadino, cavalcando uno di questi cavalli selvaggi, cadde e si ruppe una gamba. Nuove frasi di cordoglio dei vicini e solito commento del vecchio cinese: “E chi vi dice che sia una disgrazia?”. Manco a farlo apposta, infatti, scoppiò una guerra e l'unico a salvarsi fu proprio il figlio del contadino che, essendosi rotto una gamba, non era potuto partire per il fronte. Questa parabola non ha fine, e potremmo applicarla a molti eventi della nostra vita, pubblica e privata.
 
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view post Posted on 9/1/2018, 19:06
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Veramente bella la storia del contadino cinese, magari fossimo capaci di ragionare in quel modo!!!
Ma ci possiamo provare!!
Anche quella del caffè sospeso mi piace tanto.
 
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soloperamore
view post Posted on 12/1/2018, 14:56




ELINA il tuo racconto, quello del vecchio saggio cinese, mi ha fatto ricordare che mio padre, quando scoppiò la seconda guerra mondiale, dopo essere stato richiamato, venne mandato a casa per una lontana frattura al gomito destro che gli capitò da bambino in un incidente grave e che rese il suo braccio poco estensibile.Chissà quale fine avremmo fatto noi bimbe piccolissime con nostra madre se mio padre non fosse rimasto con noi a proteggerci e guidarci in quegli anni tremendi. :thumbup.gif:
Ricordo anch'io "il caffè sospeso" quando avevamo il bar. Chissà se in centro storico, si usa ancora! :D
 
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view post Posted on 13/12/2018, 18:07
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“A Santa Lucia nu passe ‘e gallina, a Sant’Aniello nu passe ‘e pecuriello”. Cosa significa?

Santa Lucia e Sant’Aniello. Una donna e un uomo. La prima siciliana, il secondo campano. Vissuti a circa due secoli di distanza. Così lontani nel tempo, eppure così vicini agli occhi dei fedeli. Santa Lucia nacque a Siracusa nel 238 d. C. e morì durante le persecuzioni contro i cristiani dell’imperatore Diocleziano. La giovane fu denunciata poiché aveva deciso di consacrare la sua vita a Dio dopo che, vedendo Sant’Agata in sogno a seguito di lunghe preghiere in cui chiedeva la guarigione della madre, quest’ultima si salvò realmente. Fu così portata dinanzi l’arconte Pascasio che, non sentendola abiurare, la fece decapitare.

Santa Lucia è considerata la protettrice degli occhi e della vista, inoltre in alcune provincie del Nord Italia è considerata al pari di una befana. Infatti il 13 dicembre, giorno in cui si celebra la sua santità, i bambini solitamente aspettano che la martire in groppa a un asinello consegni loro dei doni. Celebre è il detto “Santa Lucia il giorno più corto che ci sia” poiché, prima della riforma attuata da papa Gregorio XIII nel 1582 che portò alla nascita del calendario Gregoriano, il solstizio d’inverno capitava proprio il 13 dicembre rendendolo il giorno in cui le ore di luce duravano di meno. Il culto di Santa Lucia si diffuse tra il IV e il V secolo, come si evince da un’iscrizione ritrovata in una catacomba siracusana. Le spoglie della vergine martire sono custodite all’interno della chiesa di San Geremia a Venezia dove furono portate da mercanti veneziani che le trafugarono a Costantinopoli.

Sant’Aniello o Sant’Agnello nacque a Napoli, nel 535 d. C., da una donna anziana che credeva di non poter partorire fino al giorno in cui ricevette una grazia dalla Madonna. Raggiunta l’età dell’adolescenza decise di ritirarsi in solitudine per diversi anni vivendo in una grotta. Dopodiché entrò a far parte dell’Ordine dei Benedettini, di cui divenne Abate nel Convento di San Gaudioso dove fondò un ospedale per infermi bisognosi. Qui morì il 14 dicembre del 595 d. C., giorno in cui ancora oggi si festeggia la sua santità. Sant’Agnello è considerato il protettore delle partorienti e dei marinai. Secondo la leggenda il monaco comparve ai napoletani guidandoli, nell’821, contro l’attacco dei longobardi guidati da Sicone, ed è per questo motivo che da quel momento fu raffigurato con uno stendardo in mano. Oggi la sua mandibola e una parte della gola sono custoditi nella cappella del Tesoro di San Gennaro all’interno del Duomo di Napoli. Il resto del suo corpo secondo alcuni sarebbe conservato nella chiesa di Sant’Agnello Maggiore, situata nel centro storico del capoluogo campano, per altri sarebbe sepolto nella cattedrale di San Martino a Lucca.

Ma cosa unisce i due Santi? Oltre a essere festeggiati a un giorno di distanza, vi è un detto napoletano in cui si fanno i nomi di entrambi e che recita: “A Santa Lucia nu passe ‘e gallina, a Sant’Aniello nu passe ‘e pecuriello”. Il proverbio indica che mentre il 13 dicembre il dì si allunga di poco, come poca è la distanza tra i passi compiuti da una gallina, il 14 dicembre la giornata aumenta così come è maggiore il passo compiuto da un agnellino. Il detto fa riferimento al calendario cosiddetto Giuliano, cioè quello solare in cui Santa Lucia coincideva con il giorno più breve dell’anno e a cui seguivano inevitabilmente giornate con più ore di luce.
 
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view post Posted on 13/12/2018, 22:18
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Grazie Elina.
 
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6 replies since 2/1/2018, 18:17   132 views
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